Europa, il lavoro che non c'è

Una situazione che si aggrava nonostante i flebili segnali di ripresa. Le persone non sono numeri

Parole chiave: europa (177), lavoro (167), prospettive (6), giovani (205)
Europa, il lavoro che non c'è

Continua a imperversare la  battaglia dei numeri: l’altro ieri un sorprendente dossier del principale quotidiano economico italiano sulla “leggenda delle disuguaglianze nel mondo, in Europa e in Italia; pochi giorni prima i numeri previsionali del Documento di economia e finanza (DEF) del nostro governo.

Tutti numeri da prendere con le molle perché in questo mondo instabile i numeri ballano e spesso la politica è tentata di giocarci, vendendo promesse e illusioni. Difficile discernere le certezze dalle speranze nel DEF presentato a inizio aprile dal Governo, anche perché è difficile prevedere l’andamento di alcune variabili importanti come quella dell’evoluzione dell’euro sul dollaro – e quindi la variabilità di import-export – e quella del costo del petrolio che sta oggi dando una mano alla crescita in Europa. Senza contare l’incerto esito dell’incognita Grecia, sempre sull’orlo del fallimento, e il risultato delle imminenti (7 maggio) elezioni in Gran Bretagna, che potrebbero avviare quel Paese fuori dall’Unione Europea.

Ma stiamo ai numeri dati dal governo per l’Italia: una crescita stimata per quest’anno a + 0,7% e prevista con un costante aumento superiore, anche se di poco, all’1% nei prossimi quattro anni ( del 2% in Europa); una riduzione progressiva del deficit che dovrebbe portare al pareggio di bilancio nel 2018 e una discesa non vertiginosa del debito pubblico stimato per il 2019 al 120% del Prodotto interno lordo (PIL), il doppio di quello convenuto con i partner europei e, infine, un decremento del tasso di disoccupazione che dovrebbe ridursi di poco più di due punti, passando dal 12,7% di oggi al 10,5% nel 2019, il doppio abbondante di quella che una volta era considerata una soglia normale della disoccupazione fisiologicamente riassorbibile in tempi brevi. Senza dimenticare che la disoccupazione giovanile continua a viaggiare sopra il 40%.

Su quest’ultimo numero vale la pena soffermarsi, perché di tutti il più negativo e destinato probabilmente a rimanere tale nel tempo.  Vi sono dati recenti, in provenienza da fonti diverse, che non inducono all’ottimismo.  Come quelli appena giunti dalla Spagna, dove a un aumento della crescita di oltre il 2% non segue una sensibile diminuzione della disoccupazione, in particolare di quella giovanile bloccata attorno al 50%.

Completano il quadro gli ultimi dati in provenienza da Eurostat, l’Ufficio statistico dell’UE: l’Italia ha un tasso di disoccupazione due punti superiore alla media UE, oltre il doppio di Germania e Austria e può consolarsi solo guardandosi alle spalle, dove Spagna e Grecia hanno un tasso di disoccupazione doppio di quello italiano. Per riassumere, significa che nell’Ue la disoccupazione è alta e distribuita in misura per nulla uniforme e che l’Italia resta molto lontana dal gruppo di testa per l’occupazione.

Tutto questo oggi e nell’immediato domani. Resta da chiedersi che cosa avverrà sul lungo termine, con la speranza, come disse Keynes, di non essere allora tutti morti e con i milioni di disoccupati sempre disoccupati. In Europa sembra profilarsi una crescita senza, o quasi, incremento di occupazione, con il rischio di dover convivere stabilmente con uno zoccolo duro di disoccupazione del 10%, fatta di giovani e di disoccupati di lunga durata, una fascia di esclusione e di povertà, che si infiltra sempre di più anche tra chi lavora, tra quei “lavoratori poveri” che continuano ad aumentare anche in Europa, come  avviene ormai da tempo oltre-oceano. Difficile amare e sostenere un'Europa così.

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