Da Londra un segnale per l'Unione Europea per il futuro

Le elezioni in Gran Bretagna un banco di prova per la tenuta delle prospettive continentali

Parole chiave: gran bretagna (7), europa (177), progetto (35), prospettive (6)
Da Londra un segnale per l'Unione Europea per il futuro

Ancora una volta è evidente l’intreccio tra elezioni nazionali e politica europea e viceversa, segno che, piaccia o no, siamo tutti sulla stessa barca e ci tocca remare. Che poi qualcuno remi in un senso e qualcuno in un altro non è una novità nell’Unione Europea.

Per convincersene basta guardare, tra l’altro a quanto avvenuto in Italia con le elezioni europee di un anno fa e in Gran Bretagna con le elezioni di questa settimana.

A maggio 2014, in occasione delle elezioni europee, si registrò per l’Italia lo straordinario risultato del Partito democratico con il suo insperato bottino del 42% che aprì la strada al programma di riforme annunciato da Matteo Renzi, legittimandone le iniziative malgrado la sua mancanza di una legittimazione elettorale diretta.

Un anno dopo, una tornata elettorale esclusivamente nazionale avrà un impatto importante sul futuro dell’Unione Europea. E’ il caso delle elezioni in Gran Bretagna, che hanno visto scontrarsi sostenitori e avversari del processo di integrazione comunitaria, in un dibattito apparentemente  tutto  e solo di politica interna che però aveva in controluce l’interrogativo sulla presenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea.

Un interrogativo lanciato da David Cameron con l’impegno, in caso di vittoria a queste elezioni, di sottoporre a referendum entro il 2017 la permanenza o meno della Gran Bretagna nell’Ue. Una mozza azzardata e poco apprezzata dai suoi amici e alleati nell’Ue, senza peraltro sollevare troppe reazioni a Bruxelles dove in molti cominciano a non considerare un dramma la fuoruscita britannica dall’Ue.

Come andrà è difficile prevederlo: molto dipenderà dalle alleanze, in un Paese dove nessuno ha vinto nettamente e dove per conservatori e laburisti non sarà facile aggregarsi con partner compatibili, vista anche la mina vagante del Partito nazionale scozzese che ritorna alla carica per rendersi indipendente da Londra, ma non ha nessuna intenzione di rinunciare alla compagnia europea.

Una cosa è chiara fin d’ora: l’attuale assetto istituzionale dell’Unione Europea scricchiola vistosamente, tra quanti vorrebbero accelerare verso un’unione politica, quelli ai quali basta la partecipazione a un grande mercato, come gli inglesi, e quelli che oscillano tra le due sponde e contribuiscono a paralizzare l’azione politica europea.

Già oggi la Gran Bretagna è mezza fuori dal processo di integrazione: non ha aderito all’euro, non ha sottoscritto il Trattato di Schengen sulla libera circolazione, non ha aderito all’accordo intergovernativo del “Fiscal pact” sulle regole finanziarie e nulla lascia credere che ci sia qualcuno oggi Gran Bretagna che da questa posizione marginale voglia smarcarsi.

Ma quanto a lungo potranno sopportare i partner della Gran Bretagna nell’Unione Europea. E questo suo stare dentro e fuori, cercando di incassare i benefici del mercato unico,  ma senza pagare i prezzi della convergenza europea e assumere responsabilità, come abbiamo appena sperimentato con l’indecente rifiuto di Cameron di accogliere una quota adeguata dei profughi che approdano sulle sponde del Mediterraneo?

Sarebbe appena normale che l’Italia facesse sentire la sua voce, non per contribuire a cacciare fuori dall’Unione Europea la “perfida Albione”, ma senza nemmeno farsi ricattare dalla minaccia di una sua fuoruscita e senza pagare il prezzo di ulteriori deroghe ai Trattati richieste in continuità dalla Gran Bretagna.

Perché non rispettare fino in fondo la pretesa sovranità della Gran Bretagna? Sarebbe anche un modo per rafforzare la sovranità condivisa europea.  

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