Fuoco e paura, la strage dell'hotel splendid e l'incerto futuro del Burkina

La nazione africana rischia di essere chiusa nella morsa del terrorismo jihadista

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Fuoco e paura, la strage dell'hotel splendid e l'incerto futuro del Burkina

La capitale Ouagadougou è scoccata dall’attentato terroristico all’Hotel Splendid e al ristorante Cappuccino di venerdì 15. Il presidente Roch Marc Christian Kaboré, insediato il 29 dicembre, aveva nominato tre giorni prima il proprio governo. Un esecutivo di rottura con il passato, con i 27 anni di governo ininterrotto di Blaise Compaoré, cacciato dall’insurrezione popolare nell’ottobre del 2014. Un momento particolarmente delicato per il paese saheliano, uscito da 12 mesi di transizione e da un tentato colpo di stato a settembre. Dopo aver fatto esplodere due auto nel parcheggio di fronte all’hotel di lusso, sull’avenue Kwame N’kruma, la grande via commerciale della capitale, almeno quattro terroristi sono entrati nel ristorante e poi nell’albergo sparando all’impazzata. Entrambi i luoghi sono frequentati da stranieri.

Solo un intervento durato tutta la notte delle forze speciali burkinabè appoggiate dai francesi dell’Operazione Barckhane (il contingente che opera in Mali e ha una base a Ouagadougou) e alcuni militari statunitensi, dell’antiterrorismo, hanno evacuato oltre 130 persone. Sul terreno restano 30 vittime di 18 nazionalità. Tra loro anche un bimbo di 9 anni, italo-ukraino, figlio del proprietario del ristorante. L’attentato è la fotocopia di quello perpetrato all’Hotel Radisson Blu il 20 novembre scorso, e in entrambi i casi l’obiettivo principale sono stati gli stranieri. La firma è la stessa: il gruppo jihadista Al Murabitun, solo l’ultimo dei tanti gruppi armati fondati dal noto leader terrorista algerino Mokhtar Belmokhtar. Belmokhtar, attualmente alleato di Al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi). Molti osservatori dell’area si aspettavano un attentato nella capitale del Burkina Faso, paese saheliano in cui convivono serenamente musulmani (circa il 60%) e cristiani (20%), stretto tra Mali e Niger, stati a prevalenza islamica.

La capitale del Niger era già stata sede di incursioni jihadiste soprattutto per rapimenti di occidentali fin dal 2011, mentre il 16 e 17 gennaio 2015 la folla aizzata dagli integralisti, aveva manifestato e bruciato alcune chiese a Niamey e Zinder. Il Niger è in guerra contro la setta integralista Boko Haram (originaria del Nord Est della Nigeria) dal febbraio dello stesso anno. Anche il Ciad, il cui esercito è schierato contro i fondamentalisti, aveva subito un attentato il 15 giugno nella capitale Ndjamena. Il Mali, in guerra contro Aqmi dal 2012, oltre al Radisson Blu, si erano già vissuti gli attentati al ristorante la Terrasse di Bamako e al residence per personale Onu a Sévaré, nel centro Sud del paese. 

Il Burkina Faso, a eccezione di tre attacchi a posti di gendarmeria, nei pressi della frontiera con il Mali, tra l’estate e ottobre scorso, era risultato ancora indenne a questa «morsa» jihadista che stringe l’Africa dell’Ovest. Altre inquietudini erano date dalla discreta, ma effettiva, presenza sul territorio del Mujao (Movimento per l’unità del jihad in Africa dell’Ovest), che di fatto ha fornito la logistica per l’attentato del 15 gennaio e del Fronte per la liberazione di Macina, che opera indisturbato nella regione di Bandiagara in Mali al confine con il Burkina. Sono solo alcuni dei molti gruppi della galassia Aqmi, da anni attivi nella banda sahariana Mali, Algeria, Niger, dove vivono di traffici di ogni tipo: sigarette, cocaina, armi e migranti. Il resto lo ha fatto il momento propizio: l’insediamento del nuovo governo e lo scioglimento delle Reggimento di sicurezza presidenziale, le truppe scelte coinvolte nel tentato golpe del 16 settembre a Ouagadougou. Un momento dunque, di particolare debolezza dell’apparato di «sicurezza», la cui riorganizzazione era già all’ordine del giorno dell’esecutivo.

Tra i burkinabè un sentimento di reazione positiva prevale, seppur accompagnato da una grande tristezza. Dopo lo spavento e lo choc, si è alzata unanime la condanna: «Questo non è Islam. Tutto ciò può solo danneggiare l’Islam». Nel Paese non ci sono mai state tensioni etniche né religiose. Il dialogo interreligioso è da sempre fondamentale e si vive una vera integrazione. Nella stessa famiglia capita che ci siano cristiani e musulmani. I burkinabè reagiscono all’attacco grazie all’orgoglio e la fierezza di essere un solo popolo.

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