Cinquant'anni fa le prime scintille del Sessantotto

A Torino la contestazione studentesca iniziò il 27 novembre 1967 a Palazzo Campana, sede delle Facoltà umanistiche. Fu l'inizio di una stagione di travaglio anche nel mondo cattolico

Cinquant'anni fa le prime scintille del Sessantotto

La contestazione studentesca a Torino «cominciò con un pretesto molto pragmatico: si era diffusa la voce che volessero spostare le Facoltà umanistiche nella tenuta della Mandria. La prima mobilitazione - io ero all'ultimo anno di Giurisprudenza - avvenne su un obiettivo non rivoluzionario. Facemmo irruzione nel Senato accademico e nel Consiglio d' amministrazione, rompendo la sacralità del potere accademico. Poi venne il resto. Giovanni Getto (luminare docente di Letteratura italiana, n.d.r.) era solito fare gli esami in uno stanzino di Palazzo Campana. C' era un parquet di legno e spesso Getto accendeva una stufetta. Quando si doveva andare da lui per un esame, all'ingresso della stanzetta bisognava prendere dei pattini di stoffa e camminarci sopra. Procedendo, poteva capitare che uno lasciasse i pattini. Getto era capace di bocciarti se perdevi quei benedetti pattini».

Lo storico Giovanni De Luna, in un’intervista a «la Repubblica» del 2002, racconta l'occupazione studentesca di Palazzo Campana, sede delle Facoltà umanistiche, cinquant’anni fa, il 27 novembre 1967. Da questa scintilla divampò l’incendio.  

Un tornado investe «baroni» e «padroni» – «baroni servi dei padroni» – e scuote università e scuole, fabbriche e Chiesa: contestazione; secolarizzazione e scristianizzazione, a cominciare dalle grandi città e dalle aree culturalmente più forti ed economicamente più ricche; appannamento dei valori etici; attacchi all’unità della famiglia e alla sacralità della vita con le leggi del divorzio e dell’aborto. Bersaglio della contestazione è il padronato che persegue il massimo profitto con il minimo sforzo e scarica i costi sociali sui lavoratori e sulle pubbliche amministrazioni. I contestatori, sobillati dal partito comunista, accusano Chiesa e Democrazia cristiana di andare a braccetto con i «padroni».

Nel biennio 1967-68 occupazioni a ripetizione dell’Università, di Architettura, del liceo Massimo d’Azeglio, cortei di studenti che «assediano» nel suo studio il magnifico rettore Mario Allara. All’Università Cattolica di Milano l’occupazione scatta nel maggio 1967 dopo il rincaro del 50 per cento delle tasse. Il capo Mario Capanna, vestito con un impermeabile da prete, arringa gli studenti; il rettore Ezio Franceschini con grande coraggio lo affianca e replica in diretta di fronte agli studenti. Nel marzo 1968 una rabbiosa occupazione sfocia nella «battaglia di largo Gemelli»: migliaia di studenti si scontrano con la polizia. La Federazione universitari cattolici sostiene i contestatori, il cardinale arcivescovo di Milano Giovanni Colombo condanna le proteste. Il 31 luglio finisce il rettorato di Franceschini e gli succede Giuseppe  Lazzati, amico e collega del prof. mons. Michele Pellegrino docente di Letteratura cristiana antica a Torino: nominato nel 1965 da Paolo VI arcivescovo di Torino, nel 1967 si dimette dall’Università accogliendo il suggerimento del collega Italo Lana che gli prospetta la situazione imbarazzante per un professore-vescovo di fronte alle rivolte.

A Mirafiori si scrive buona parte della storia politica e sociale torinese. Dopo vent’anni di pace sindacale grazie al «bastone e carota» del prof. Vittorio Valletta – nel 1956 neppure un’ora di sciopero – il 7 luglio 1962 nell’assalto alla sede della Uil in piazza Statuto scontri fra polizia e operai sfuggiti al servizio d’ordine della Cgil. Nella primavera 1969 il vulcano esplode con scioperi, proteste, picchetti e rivolte. Gianni Agnelli è bersaglio degli operai furibondi: gli dedicano più filastrocche che a «Che» Guevara, più caricature che a Giulio Andreotti, più minacce che al segretario neofascista Giorgio Almirante. I giovani rivoluzionari salgono sugli autobus gridando «Paga Agnelli» e ritmano sui tamburi: «Agnelli, l’Indocina ce l’hai nell’officina. Pagherete caro, pagherete tutto».

Alcuni gruppi cattolici sterzano a sinistra o nell’estrema sinistra. Alcuni sacerdoti e religiosi sono cacciati o sospesi, come Giovanni Franzoni, abate di San Paolo fuori le mura o i salesiani Giulio Girardi e Gerard Lutte. Il «Movimento 7 novembre» contesta la Chiesa come «antievangelica per la collusione con i ricchi e i potenti» e finisce nel PCI. Per la Chiesa è un «lungo autunno» dopo la promettente «primavera» del Concilio. Il 29 giugno 1972 Paolo VI esce in una drammatica lamentazione: «Sembra che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. Non ci si fida più della Chiesa, ma del primo profano che viene a parlarci da qualche giornale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. Si credeva che dal Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole e tempesta, buio e incertezza. Predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo dagli altri, scaviamo abissi invece di colmarli».

Le prime avvisaglie dalla turbolenta America Latina. Il 15 febbraio 1966 in Colombia è ucciso il prete-guerrigliero sospeso a divinis Camillo Torres e il 9 ottobre ’67 in Bolivia cade Ernesto «Che» Guevara. La seconda conferenza dell’episcopato latino-americano «La Chiesa nell’attuale trasformazione dell’America Latina alla luce del Concilio» (28 agosto-6 settembre 1968) a Medellin in Colombia, aperta da Paolo VI, sancisce l’«opzione preferenziale per i poveri». Il teologo peruviano Gustavo Gutierrez usa per la prima volta il termine «teologia della liberazione». In una conferenza internazionale all’Avana Fidel Castro legge un proclama anti-imperialista scritto da quattro preti.

Altro motivo di collera è l’atroce guerra in Vietnam. Il 23 dicembre 1967 Paolo VI dice al presidente statunitense Lyndon B. Johnson: «Il nostro dovere è quello di far conoscere al mondo le nostre posizioni come quelle di amici della pace e nemici della guerra». Il 1° gennaio 1968 si celebra la prima «Giornata mondiale per la pace» istituita da Paolo VI. Il 30 gennaio ’68 i vietcong comunisti lanciano l’«offensiva del Tet», Capodanno cinese, che li porta al potere, che non mollano più.

Pier Giuseppe Accornero 

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