La Misericordia di Dio abbraccia l'umanità
"Coraggo, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati (Mt 9,2). Il tema del peccato nella Bibbia
Che cos’è il peccato
In latino peccatum indica un’infrazione a una norma comunitaria che merita una penitenza, cioè una punizione da parte di un’autorità (il magistrato, il sovrano, i genitori...). In greco la parola è amartìa, che significa essenzialmente “mancare il bersaglio”. Infatti il verbo amartàno, la cui radice deriva dal sanscrito mrsyati, “trascurare”, nel greco classico significa “erro”, “devìo”, “non colgo”, “fallisco”, “non raggiungo”, “perdo”. Anche in ebraico la parola che di solito esprime il peccato è chatàʼ, che significa “mancare”, nel senso di “fallire un bersaglio” o “non raggiungere un obiettivo o un punto esatto”, “sbagliare strada”. In Gd 20,16 chatàʼ è usato (con una negazione) per descrivere i frombolieri beniaminiti che non mancavano un bersaglio sottile come un capello.
Mancare il bersaglio
Il vero significato biblico del peccato, quindi, non è la trasgressione di un precetto, ma è il non raggiungere il bersaglio, lo scopo delle nostre azioni, cioè la pienezza della nostra vita. Dio ci dà i comandamenti non per metterci alla prova, ma per indicarci qual è la nostra felicità. È questo che viene evidenziato con chiarezza nel racconto della prima trasgressione: se gli uomini vorranno “mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male” (Gen 2,17), cioè decidere loro ciò che ritengono “buono, gradito e desiderabile” (Gen 3,6), andranno verso la sofferenza e la morte. Se invece si affidano a Dio, avranno la vita. Il peccato è credere che i nostri progetti, le nostre scelte, possono essere migliori di quelle che Dio Padre, che ci ama follemente, ha previsto per noi. La cosiddetta “teologia delle due vie” fin dal libro del Deuteronomio (Dt 28; 30) ci ricorda che Dio è la felicità, è la gioia, la pienezza, la vita: stare sulla via di Dio significa vivere la nostra realizzazione e la nostra pace; allontanarsi da lui significa invece avviarsi verso cammini di tristezza, di angoscia, di vuoto, di morte. Quando pecco non “offendo” Dio, ma faccio un danno a me stesso.
Rifiuto dell’Amore
Tante volte la Sacra Scrittura rappresenta la relazione dell’uomo con Dio in termini di sponsalità (Os 2,16-22). Ecco perché il peccato è visto come una rottura di queste mistiche nozze tra Dio e l’uomo: il peccato è quindi considerato come un adulterio. Il vero peccato è quindi rifiutare la relazione con Dio, l’unica che può darci la piena felicità (Gv 1,11; Mt 10,40): in tal senso Gesù dirà che il peccato è mancare all’amore di Dio e del prossimo (Mt 22,37-38).
La conversione
In ebraico la parola teshuvàh, “conversione”, deriva dal verbo shùb, che significa “tornare sui propri passi”: indica un cambiamento radicale, un’“inversione ad U” della propria vita. In greco “conversione” è metànoia, che deriva da mèta, “cambiare”, e noùs, il pensiero, la mentalità: significa quindi cambiare la testa, il cervello, il modo di pensare. La conversione non riguarda gli atteggiamenti e i comportamenti, ma il centro vitale della persona che la Bibbia chiama “cuore”.
Convertirsi è tornare alla strada della propria felicità e realizzazione. Ma non è volgersi ad una nuova etica, bensì ad una Persona: significa aderire a Gesù, farsi suoi discepoli, suoi amici, suoi intimi. “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15): è Gesù la Gioiosa notizia, la nostra felicità (Mc 1,1).
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