Il grido silenzioso dei poveri nelle parole di Papa Francesco

“Ignorare il povero è disprezzare Dio, comportarsi come il ricco che banchetta mentre Lazzaro alla porta muore di fame”. Così Papa Francesco all’Udienza Generale.

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“Ignorare il povero è disprezzare Dio, comportarsi come il ricco che banchetta mentre Lazzaro alla porta muore di fame”. Così Papa Francesco all’Udienza Generale.

“Il grido silenzioso dei poveri di tutti i tempi e la contraddizione di un mondo in cui immense ricchezze e risorse sono nelle mani di pochi” sono i temi dell’Udienza Generale di Papa Francesco, dedicata alla parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro.

La vita di queste due persone sembra scorrere su binari paralleli: le loro condizioni di vita sono opposte e del tutto non comunicanti. “Il portone di casa del ricco è sempre chiuso al povero, che giace lì fuori, cercando di mangiare qualche avanzo della mensa del ricco”. Questi indossa vesti di lusso, mentre Lazzaro è coperto di piaghe; il ricco ogni giorno “banchetta lautamente”, mentre Lazzaro “muore di fame”. Solo i cani si prendono cura di lui, e vengono a leccare le sue piaghe.

Questa scena ricorda il duro rimprovero del Figlio dell’uomo nel giudizio finale: “Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero […] nudo e non mi avete vestito” (Mt 25,42-43). Lazzaro rappresenta bene il grido silenzioso dei poveri di tutti i tempi e la contraddizione di un mondo in cui immense ricchezze e risorse sono nelle mani di pochi.

Un giorno quell’uomo ricco morì

“I poveri e i ricchi muoiono - ha osservato Papa Francesco - hanno lo stesso destino, come tutti noi, non ci sono eccezioni a questo”. Il ricco della parabola si rivolse ad Abramo supplicandolo con l’appellativo di “padre” (vv. 24.27), rivendicando la condizione di “figlio”, appartenente al popolo di Dio. Eppure in vita non ha mostrato alcuna considerazione verso Dio, anzi ha fatto di sé stesso il centro di tutto, chiuso nel suo mondo di lusso e di spreco.

Escludendo Lazzaro, non ha tenuto in alcun conto né il Signore, né la sua legge. “Ignorare il povero - ha tuonato Papa Francesco - è disprezzare Dio! Questo dobbiamo impararlo bene: ignorare il povero è disprezzare Dio”.

Un ricco senza nome

C’è un particolare nella parabola che va notato: il ricco non ha un nome, ma soltanto l’aggettivo: “il ricco”; mentre quello del povero è ripetuto cinque volte, e “Lazzaro” significa “Dio aiuta”. Lazzaro, che giace davanti alla porta, è un richiamo vivente al ricco per ricordarsi di Dio, ma il ricco non accoglie tale richiamo. Sarà condannato pertanto non per le sue ricchezze, ma per essere stato incapace di sentire compassione per Lazzaro e di soccorrerlo.

Prima ignorato, dopo implorato

Nella seconda parte della parabola, ritroviamo Lazzaro e il ricco dopo la loro morte (vv. 22-31). Nell’al di là la situazione si è rovesciata: “il povero Lazzaro è portato dagli angeli in cielo presso Abramo, il ricco invece precipita tra i tormenti”. Allora il ricco “alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui”. Egli sembra vedere Lazzaro per la prima volta, ma le sue parole lo tradiscono: “Padre Abramo – dice – abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Adesso il ricco riconosce Lazzaro e gli chiede aiuto, mentre in vita faceva finta di non vederlo.

Quante volte...

A braccio, il Papa ha commentato questo passo: “Quante volte tanta gente fa finta di non vedere i poveri! Per loro i poveri non esistono - Prima gli negava pure gli avanzi della sua tavola, e ora vorrebbe che gli portasse da bere! Crede ancora di poter accampare diritti per la sua precedente condizione sociale”. Dichiarando impossibile esaudire la sua richiesta, Abramo in persona offre la chiave di tutto il racconto: egli spiega che beni e mali sono stati distribuiti in modo da compensare l’ingiustizia terrena, e la porta che separava in vita il ricco dal povero, si è trasformata in «un grande abisso».

Finché Lazzaro stava sotto casa sua, per il ricco c’era la possibilità di salvezza, spalancare la porta, aiutare Lazzaro, ma ora che entrambi sono morti, la situazione è diventata irreparabile. Dio non è mai chiamato direttamente in causa, ma la parabola mette chiaramente in guardia: “la misericordia di Dio verso di noi è legata alla nostra misericordia verso il prossimo; quando manca questa, anche quella non trova spazio nel nostro cuore chiuso, non può entrare”.

Aprire il cuore alla Parola di Dio

A questo punto, il ricco pensa ai suoi fratelli, che rischiano di fare la stessa fine, e chiede che Lazzaro possa tornare nel mondo ad ammonirli. Ma Abramo replica: “Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro”.

“Per convertirci - ha commentato Papa Francesco - non dobbiamo aspettare eventi prodigiosi, ma aprire il cuore alla Parola di Dio, che ci chiama ad amare Dio e il prossimo. La Parola di Dio può far rivivere un cuore inaridito e guarirlo dalla sua cecità”. Il ricco conosceva la Parola di Dio, ma non l’ha lasciata entrare nel cuore, non l’ha ascoltata, perciò è stato incapace di aprire gli occhi e di avere compassione del povero.

“Se io non spalanco la porta del mio cuore al povero, quella porta rimane chiusa. Anche per Dio. E questo è terribile”.

Il rovesciamento delle sorti

Nessun messaggero e nessun messaggio potranno sostituire i poveri che incontriamo nel cammino, perché in essi ci viene incontro Gesù stesso: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40), dice Gesù. Così nel rovesciamento delle sorti che la parabola descrive è nascosto il mistero della nostra salvezza, in cui Cristo unisce la povertà alla misericordia. “Cari fratelli e sorelle - ha concluso il Papa - ascoltando questo Vangelo, tutti noi, insieme ai poveri della terra, possiamo cantare con Maria: Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,52-53).

96 anni fa nasceva San Giovanni Paolo II

Nel giorno della nascita di San Giovanni Paolo II (18 maggio 1920), Papa Francesco ha salutato in modo particolare i pellegrini provenienti dalla Polonia, paese dove si recherà a fine luglio per le Giornate Mondiali della Gioventù: “Mi unisco spiritualmente al Presidente della Repubblica di Polonia, con i combattenti e i partecipanti alla Santa Messa nel cimitero polacco di Montecassino a ricordo dei caduti, nonché a coloro che sono radunati a Toruń per la consacrazione del Santuario della Beata Vergine Maria Stella della Nuova Evangelizzazione e di San Giovanni Paolo II. Che questi importanti eventi siano per voi un invito a pregare per la pace, per la Chiesa in Polonia e per la prosperità della vostra Patria”.

Il saluto ai bambini ucraini

Un saluto speciale è andato anche ai bambini ucraini, orfani e profughi a causa del conflitto armato che ancora si protrae nell’est del Paese: “Per intercessione di Maria Santissima rinnovo la mia preghiera affinché si giunga ad una pace duratura, che possa sollevare la popolazione tanto provata e offra un futuro sereno alle nuove generazioni”.

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