Papa Francesco elogia don Mazzolari e don Milani

20 giugno 2017 Bergoglio sulle tombe di due grandi preti del XX secolo nei luoghi storici delle predicazioni 

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Papa Francesco elogia don Mazzolari e don Milani

Papa Francesco rende omaggio a due parroci italiani vissuti nel XX secolo. Il 20 giugno 2017 a Bozzolo, provincia di Mantova e diocesi di Cremona, prega sulla tomba di don Primo Mazzolari (1890-1959) e poi a Barbiana, provincia e diocesi di Firenze, sulla tomba di don Lorenzo Milani (1923-1967) nel 50° della morte.

«Caro Michele, caro Francuc­cio, cari ragazzi. Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliez­ze e abbia scritto tutto al suo conto. Un abbraccio, vostro Lorenzo». Così scrive don Milani, confinato a Barbiana sull’Appennino toscano. L’attuale cardinale arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori commenta: «Quel  prete non considerava Barbiana un deserto di confino da cui liberarsi presto, ma la sua terra promessa, il luogo in cui la gente che gli veniva affidata, uno per uno, era un prezioso dono di Dio a cui consacrarsi». Un prete convinto che l’amore di Dio si vede solo attraverso l’amore per gli uomini, che insegna il catechismo insieme lingua italiana, che crede nella scuola come luogo dove si rimuove l’emarginazione e si persegue la giustizia.

Il magistero di don Milani venne usato come bandiera dai contestatori del «sessantotto». Nella «Lettera ai giudici» spiega: «La scuola siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall'al­tro instillare la volontà di leggi migliori (e in questo si differenzia dalla vostra funzione)». Don Luigi Ciotti attualizza: «Don Milani ci ha insegnato che non si può combattere la povertà materiale senza formazione delle coscienze, senza educazione alla ricerca. A Barbiana si comportava da maestro severo ed esigente ma è l'alunno che fa più fati­ca a dettare il ritmo di marcia. È un'intuizione preziosa perché solo così la scuola diventa la base di una società prospera la cui forza si misura dalla capacità di includere e valoriz­zare i più fragili».

Nel libro di don Milani «Esperienze pastorali» si legge: «È tanto difficile che uno cerchi Dio se non ha sete di conoscere. Quando con la scuola avremo risvegliato nei  giovani operai e contadini quella se­te, portarli poi a porsi il proble­ma religioso sarà un giochetto». Agli occhi di don Lorenzo l’ingiustizia sociale offende gli uomini ma anche Dio. E chi ama Dio e i poveri, non può che battersi per rimuovere le cause. Al giovane comunista Pipetta scrive: «Il giorno che avremo sfondata insieme la cancellata di qualche parco, installa­ta insieme la casa dei poveri nella reg­gia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso».

Papa Bergoglio si inchina davanti a due parroci con sensibilità diverse e vite  costellate da incomprensioni e condanne della Chiesa paludata di Pio XII, ma accomunati dalla testi­monianza profetica alla radicalità del Vangelo. Due preti che, con i loro scritti, la loro parola e i loro esempi, hanno educato e nutrito generazioni di seminaristi, sacerdoti e laici. Due par­roci difensori dei deboli. Due parroci italiani verso i quali Francesco manifesta grande simpatia, ma la visita ha carattere privato perché il Pontefice non vuole forzare la mano sulla causa di beatificazione: in corso per don Mazzolari, sperata e auspicata per don Milani.

Due parroci totalmente dediti alla «salute delle anime», che hanno lavorato per la giustizia e la pace, hanno respinto ogni violenza, hanno precorso i tempi e i segni dei tempi prima ancora del Concilio Vaticano II. Due parroci amici di antica data, che hanno avuto solo sporadici contatti epistolari, ma che si riconoscono nel segno di un vicendevole sostegno.

Le opere principali di Mazzolari sono: «La più bella avventura» (1934), «Il Samaritano» (1938), «Tra l’argine e il bosco» (1938), «La Via Crucis del povero» (1939), «Tempo di credere» (1941), «Impegno con Cristo» (1943), «La samaritana» (1944), «Il compagno Cristo» (1945), «La pieve sull’argine» (1952), «La parola che non passa» (1954), «Tu non uccidere» (1955), «La parrocchia» (1957), «I preti sanno morire» (1958). Titoli secchi, contenuti alti e forti per quei tempi. Nonostante le censure, si sente dentro la Chiesa.

Perseguitato dal Sant’Offizio, prima di morire il 12 aprile 1959, ha due momenti di gioia: il 25 gennaio 1959 Papa Giovanni annuncia il Concilio e il 5 febbraio lo riceve e lo definisce «Tromba dello Spirito Santo nella Bassa pada­na», a suggello di una riabilitazione alla quale aveva dato un contribuito determinante mons. Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano e futuro Paolo VI, chiamandolo nel1957 apredicare nella «Missione di Milano». 

Nel marzo 1958 Milani pubblica «Esperienze pastorali» con l’imprimatur del cardinale arcivescovo di Firenze Elia Dalla Costa. Propone una pastorale incentrata sull’evangelizzazione e sul rapporto con operai e poveri. Il 15 dicembre 1958 il Sant’Offizio ne ordina il ritiro dal commercio: «Liber “Esperienze pastorali” sacerdotis Laurentii Milani e commercio retrahatur; eidem sacerdoti ordinarius invigilet». Prima della morte, il 26 giugno 1967 a 44anni per cancro, percepisce  segnali distensivi i da Paolo VI.

Lo scambio epistolare tra il sacerdote-scrittore e il prete-insegnante dura un decennio 1949-58. «Che il Signore ci conservi nella fedeltà alla causa dei poveri» scrive Mazzolari a Milani il 23 novembre 1949. Che il 4 dicembre ringrazia don Primo per il volume «Impegno con Cristo» che «lessi con passione quand'ero neofita. Da allora in poi non ho più letto nulla ma ho seguitato a considerare lei come un amico d'infanzia. Che Dio le renda merito d'ogni cosa». Il 22 maggio 1958 don Primo ringrazia: «Caro don Lorenzo, sono ar­rivato all'ultimo capitolo delle “Esperienze pastorali” e non so attendere la fine perché la voglia di buttarti le braccia al collo è incontenibile. È uno dei più vivi e completi documenti di sociologia religiosa. Il clero italiano ti deve essere riconoscente».

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