Trema l'Europa senza radici

Il voto austriaco, con la vittoria al fotofinish di Alexander Van der Bellen sull'ultranazionalista Norbert Hofer, conferma una crisi di popolarità dell’europeismo. Dietro l’angolo c’è il referendum del 23 giugno in Gran Bretagna

Parole chiave: brexit (8), austra (4), ue (5), elezioni (53)
Trema l'Europa senza radici

L’Europa tira un sospiro di sollievo e anche l’Italia, come ha detto il ministro degli Esteri Gentiloni. Ma resta l’ennesimo strappo: per la Presidenza dell’Austria il candidato dei Verdi, Alexander Van der Bellen, l'ha spuntata al fotofinish sull'ultranazionalista dello Fpo, Norbert Hofer. Il dato politico è lì e fa riflettere: metà dell’elettorato austriaco sostiene l'estrema destra e un candidato che si può definire, come minimo, euroscettico.

Vale per tutti quanto dichiarato dal capogruppo Spd al Bundestag Thomas Opperman: «Indipendentemente dal conteggio degli ultimi voti, quello austriaco è un risultato scioccante». E ha aggiunto: la metà dei voti per il candidato dell'Fpo Hofer suona come «una sveglia per tutti i democratici a mobilitarsi contro l'odio per gli stranieri e l'intolleranza».

L’Unione europea, dunque, si scopre sempre più fragile. Sembrava, fino a qualche anno fa, un concetto scontato, irreversibile. E ora, nei vari Paesi, le forze nazionaliste riguadagnano terreno. In Francia con il Front National, che è il primo partito del Paese. In Germania avanzano e rubano voti ai cristiano democratici le forze populiste di destra anti-rifugiati come Alternative für Deutschland (AfD), che si fa strada, soprattutto nella Ex Germania comunista. I suoi leader hanno esultato per il risultato di Hofer. In Ungheria il partito nazionalista e xenofobo Jobbik ha conquistato due anni fa un risultato mai visto, con il 21 per cento dei consensi, e al potere c’è il partito di destra guidato da Victor Orbàn (non certo un europeista convinto). E secondo gli analisti politici seOrbàn avesse cavalcato l’euroscetticismo, sarebbe stato il suo partito Fidesz ad avvantaggiarsene, non quello di Gabor Vona, leader di Jobbik. Come in Austria Hofer, anche Jobbik non ha rosicchiato voti alla destra, ma ai delusi di sinistra, un po’ come dichiara Marine Le Pen in Francia.

Dallo scorso ottobre governa la Polonia il partito nazionalconservatore PiS (Prawo i Sprawiedlywosc, Diritto e giustizia), al potere con la maggioranza assoluta. Potremmo continuare, con la Danimarca e la Svezia, per non parlare della Grecia e anche dell’Italia, dove la Lega guida gli ipercritici dell’Ue, con il Movimento 5 stelle che non si può certo annoverare fra le forze europeiste più convinte. E dietro l’angolo c’è il referendum in Gran Bretagna: il 23 giungo gli elettori dovranno dire «sì» o «no» alla Brexit (l’uscita di Londra dall’Unione europea). Potrebbe essere la scossa più forte di tutte, di un terremoto che scuote da alcuni anni il Vecchio continente.

Gli immigrati alle frontiere non sono che un ulteriore aggravamento di una malattia sottile che da tempo attraversa l’Europa, dopo la grande crisi economica del 2008. I populismi nascono dalla paura e dallo scontento: come negli anni Venti e Trenta del Novecento, le opinioni pubbliche, di fronte alle crisi più gravi, vanno a destra anziché a sinistra. Così hanno vita facile i sentimenti antieuropei, rivendicare la difesa di un modello nazionale contrapposto ai fenomeni migratori

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