Ferita afghana

Un libro che tocca in profondità e fa riflettere. Edito da Feltrinelli.

Parole chiave: Afghnistan (1), soldati (1), italiani (3), guerra (63), pace (90), medioriente (14)
Ferita afghana

Ci sono degli acronimi che riassumono dei concetti, come per esempio, ISAF = International Security Assistance Force, MTA= Military Technical Agreement, PRT = Provincial Reconstruction Team, PESD = Politica Europea di Sicurezza e Difesa, IED = Improvised Explosive Device, FOB = Basi Avanzate (Non ci sono più), PTSD = Sindrome Post Traumatica da Stress Bellico, ICG = International Crisis Group – Bruxelles e New York. Ci sono anni importanti per l’Afghanistan, il 2001, il 2003, il 2006. Ci sono molti problemi, a partire dai campi minati non segnalati,  il narcotraffico, una notevole fonte di reddito che vede coinvolti molti importanti personaggi afghani che ricoprono anche ruoli di rilievo. Attacchi alle caserme.

La presenza di Task Force. In particolare, ad Herat e Farah è presente il Task Group di Forze Speciali Italiane. Task Force 45, piccoli team capaci di adattarsi ad ogni situazione, il cui numero di effettivi in campo è sconosciuto e poco trapela delle operazioni che sono chiamati a compiere.

C’è il progetto Zafferano, su iniziativa della Brigata Julia per contrastare la diffusione delle coltivazioni di oppio. Ed a Herat, il PRT e il Dipartimento di Agricoltura seguono anche la produzione di uvetta passa e pistacchi.

Su questo territorio difficile e spesso ostile ci sono anche i giornalisti, gli “embedded”, quelli che vanno al seguito dei contingenti militari nelle zone di guerra o ad alto rischio.

Sono quegli inviati che rischiano la propria vita per raccontare ciò che succede. Maurizio Piccirilli è uno di loro. Caporedattore de “Il Tempo”, per moltissimi anni, nei suoi periodi liberi si organizza per  andare in Paesi  dove la sopravvivenza è al limite. Da questi suoi viaggi nasce Ferita Afghana, che racconta le emozioni e le percezioni dei soldati che sono stati feriti, talvolta in modo irreversibile. Pamela Rendina, Caporalmaggiore 2° Reggimento Alpini di stanza a Cuneo, Brigata Taurinense. Prima donna soldato ferita in azione il 24 Settembre 2006, che è nata due volte.

Pamela, che ha negli occhi che si illuminano le strade affollate di Kabul, i paesaggi dagli orizzonti infiniti, dove colline e montagne sfumano dall’ocra al rosso fino a perdersi nel cielo terso, o scompaiono improvvisamente avvolte dalla polvere sollevata dal vento che scende dall’Hindukush.

Floro Guarna. Caporalmaggiore 1° Reggimento Bersaglieri. Ferito il 25 Luglio 2009. Ascolta Beyoncé e legge “Il cacciatore di acquiloni”, perché vuole capire quel mondo la loro cultura. E dice che i bambini afghani chiedevano acqua e caramelle. Sorridevano. Hafez, l’interprete, alla prima uscita, lo aveva messo sull’avviso “quando non vedi i bambini c’è pericolo”. Tempo dopo capì quanto fosse vera quell’affermazione.

Denis Calleris, 27 anni, paracadutista 8° reggimento Guastatori Folgore. Caporalmaggiore.

Parla di silenzio e tensione: “Il cielo stellato era così imponente che dava un senso di pace. Due ore di sonno, avvolto nella coperta con una retina per proteggersi dagli insetti e con il pile indosso: la notte era fredda così come il giorno era bollente. Durante il mio turno di guardia, attraverso il visore notturno, il paesaggio mi è sembrato ancora più surreale. Quella distesa infinita trasformata dagli infrarossi in un verde prato e le stelle che sembravano luminarie”.

Una bambina gli tende la mano per chiedere acqua e merendine “Quel visino dolce e quegli occhi tristi li porto sempre con me. Non ho potuto fare a meno di scattarle una foto”. Era il 24 Settembre 2009.

Andrea Adorno, 4° Reggimento Alpini Paracadutisti. Caporalmaggiore Scelto, 32 anni. Task Force 45.

Cicatrici e cielo stellato, una sigaretta e le stelle. Nella notte afghana il cielo risplende in tutto il suo splendore: il nero profondo punteggiato di luci.

Dopo essere stato ferito a Bala Murghab, il 16 Luglio 2010: “Appena mi sono seduto a bordo e l’elicottero si è sollevato ho perso ironia e distacco. Mi sono sentito una merda. Lasciavo i miei colleghi, i miei amici in una situazione difficile”. Di quelle missioni in Afghanistan ricordo quel cielo stellato che fissavo la notte…

Mi piace pensare che ogni volta che tornavo laggiù, le stelle scrivevano con la loro luce ‘Bentornato’”.

Luca Cornacchia, 33 anni, Caporalmaggiore specializzato in missilistica contro carri, 7° Reggimento Alpini, a Baqwa, provincia di Herat. In cuffia ascoltava la musica di Vasco e le canzoni di Ligabue.

“Quando Sali sul mezzo, qualcosa si smuove. La paura fa capolino. Piano, piano passa fino a scompaire”.

Un ricordo doloroso. Non le battute scherzose in camerata, ma quell’ultima immagine: “Cucciolo, tranquillo…” a terra esanime, il dolore lancinante al piede e quella maledetta povere in bocca. Era il 9 Ottobre 2010, Cucciolo non ce l’ha fatta.

Elio Rapisarda, 29 anni, incursore del 9° Reggimento Colonnello Moschin (Forze Speciali). Si sente miracolato dopo il 17 Settembre 2010. Un anno e otto mesi fra ospedali e sedute di fisioterapia. Pensava di aver perso il braccio destro, ma i medici hanno fatto un lavoro eccezionale “… Ho subito pensato di essere stato miracolato. Ero vivo”. La sua musica preferita è quella dei Queen e di Brian Adams “… Ma laggiù ascoltavo musica commerciale. Le hit del momento come sottofondo”. L’immancabile libro sull’Afghanistan per capire meglio quel paese e il suo popolo.

“… C’è tanta sofferenza, ma per loro sembra essere normalità. I bambini che giocano scalzi tra le pietre e il ruolo imponente degli anziani… paesaggi deserti, aridi, dove ogni tanto spunta un alberrello come una scommessa contro natura… La tensione c’è. Ma niente ansia..”. “In quel momento ero preoccupato di non mettere in pericolo i miei colleghi”. La battaglia è durata 35 minuti. Un inferno di fuoco. Poi, l’ospedale…

 “… Ho visto Alessandro sul lettino, il sacco nero ai piedi e il cappellano che recitava l’Eterno Riposo”.

Giovanni Califano, 29 anni, Caporalmaggiore del 5° Alpini, ora in servizio al 19° Reggimento Cavalleggeri Guide. 8 Febbraio 2011: “Oddio sono paralizzato!”

“Un film che non smette mai di finire. Il botto, la nuvola di polvere e quella pressione enorme che mi impediva di respirare…”. Si occupava delle visite mediche alla popolazione. “Erano operazioni che mi piaceva molto fare. Era un  modo di essere vicino alla popolazione e aiutarla”.

Dopo essere saltati : “… Non riuscivo a muovermi. Avevo un dolore terribile alla schiena. Non sentivo più le dita dei piedi. Mi sono bloccato. ‘ Oddio, sono rimasto paralizzato. Mi è preso il panico…”.

Capitano Gennaro Masino, 132° Reggimento Ariete. Al camp Vianini, al centro di Herat, un compound nel centro dell’antica Alexandria Aria, fondata da Alessandro il Macedone.

La sua missione era fornire sicurezza a Cimic,  Cooperazione del Ministero degli Esteri per costruire pozzi, scuole, e progetti per l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro.

“Sette giorni nel limbo profondo dell’incoscienza. Le attività vitali ridotte al minimo. Il lento risveglio dal coma in un non luogo sconosciuto”.

 “… Tutto è ancora ovattato (da quel 30 Maggio 2011)”.

La Guerra è anche di trincea . Il 23 Settembre  alle  5 del pomeriggio inizia la battaglia.

Bala Murghab, è la zona più pericolosa dell’ovest dell’Afghanistan. I militari della Sassari fronteggiano i Talebani stando in trincea. Fossi, scavati dagli Alpini del 2° Reggimento di Cuneo, in cima a cucuzzoli da dove si dominano le aree circostanti per tenere sotto controllo movimenti sospetti. In questi capisaldi si fanno turni di 4/5 giorni, perché le condizioni di vita sono durissime. COP 0 Combat Outpost

Capitano Fabio Arzu, 151° Reggimento Sassari “Scavando e scavando ci ricavavamo i nostri comfort: letto e cuscino ricavati dalla terra, una copertura adeguata per difenderci dagli attacchi e dal sole. Persino un fornetto per mangiare carne arrostita. Le abitudini sarde non si dimenticano neppure in Afghanistan…”.

Maresciallo Nicola Storniolo, effettivo al 1° Reggimento Bersaglieri di Cosenza. In divisa da 23 anni. Con un certo spirito affettuosamente paterno verso i suoi colleghi più giovani.

“Si. Laggiù, ho capito cosa voglia dire povertà. Il rispetto e il valore del poco che si ha. La capacità di adattarsi. Noi siamo troppo presi dal consumismo, dagli sprechi. Si imparano tante cose a contatto con popoli che vivono una vita piena di difficoltà ma che non si lamentano”.

“Orgoglioso di essere bersagliere”. Ferito a Gulistan, Herat alle 5.30 del pomeriggio, del 24 Marzo 2012.

L’11 Settembre 2001, accende i riflettori sull’Afghanistan. Una terra dove i peschi selvatici in primavera addolciscono l’aria e che da tre decenni conosce solo l’odore della polvere da sparo, del sangue e della morte.

Un libro che tratteggia il carattere dei protagonisti, persone e non personaggi, con la sensibilità di Maurizio Piccirilli nel cogliere le sfumature, le piccole cose del quotidiano di uomini e donne che rischiano la propria vita per un ideale. Piccirilli ha anche la capacità di raccontare l’Afghanistan attraverso colori, profumi e suoni o silenzi. Aiuta il lettore a comprendere perché l’area di Herat ha un’importanza geo-strategica fra Afghanistan e Iran, la pericolosità di convergenze fra gruppi terroristici e gruppi criminali locali.

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